martedì 22 maggio 2012

Bambini: come spiegare la Guerra - Diamo risposte alle loro paure e alle loro domande - di Romina Anelli

Come spiegare ai bambini la guerra? Bella domanda... e se si aggiunge che in guerra c'è il proprio papà o la propria mamma...ancora più difficile la risposta!
Perché c’è la guerra? Ma bombarderanno anche papà?”. Difficile scappare a domande di questo genere da parte dei nostri figli. I bambini si interrogano, si preoccupano, vivono la partenza del genitore come un momento d’incertezza, con ansie e paure. Ma come tranquillizzarli e come spiegar loro cosa sta accadendo?
Vediamo come è opportuno parlare della guerra ai bambini nelle diverse fasce d'età, in modo da essere certi di adeguare le nostre spiegazioni alle loro reali capacità di comprensione.

In caso di bambini molto piccoli, dai 2 ai 5 anni, non dimentichiamo che in questa fascia d’età i bambini non hanno ancora una chiara percezione della realtà. In quella che possiamo indicare come "l'età del gioco", il bambino non riesce a distinguere nettamente, nelle immagini Tv, una guerra vera, da quella simulata nelle fiction; la ripresa Tv dell'aereo che realmente bombarda non è, perciò, di per se più traumatizzante di quanto il bambino ha già visto nei film o nei suoi cartoni animati preferiti. Se però il bambino esprime disagio o spavento, va tranquillizzato magari raccontandogli il conflitto come fosse una favola a lui familiare (del tipo “C’era una volta…”), presentandogliela come l’eterna lotta fra il bene e il male, laddove il bene è rappresentato dal suo papà, che in quanto bene vincerà sempre; questo può servire a riportare eventuali ansie nella giusta dimensione. Per di più, se le emozioni dei piccoli sono forti, è bene "armarli" di fogli e matite perché attraverso il disegno i bambini scaricano l'ansia e ridimensionano le paure. Se notiamo particolari inquietanti nei loro disegni è bene aiutarli a "diluire" i contenuti: con alcuni tratti dare riparo agli aggrediti; deviare con una riga la traiettoria di un missile; modificare, cioè, insieme al bambino, lo scenario di guerra, per renderlo meno minaccioso possibile. E se il bambino dovesse vedere in TV immagini dei conflitti nei luoghi dove si trova il suo papà o la sua mamma? Spesso la televisione mostra loro più di quello che dovrebbe; come comportarsi, allora? Mai cambiare canale o spegnere la TV. Le emozioni dei bambini non vanno spezzate, ma lasciate sedimentare qualche secondo in silenzio, poi commentate con chiarezza e brevità, altrimenti si rischia di ingigantire situazioni e di "portare" in casa paure inutili che, ai più sensibili, possono causare ansia o incubi.

Con i bimbi un po' più grandi, dai 6 a 10 anni, bisogna soffermarsi sulla questione che i bambini, a questa età, sanno già distinguere perfettamente tra realtà e finzione e si rendono conto della gravità di quanto sta accadendo. Può essere utile munirsi di carta geografica e mostrare la zona, teatro di guerra, dove si trova il suo papà. E’ necessario tranquillizzarli spiegando i motivi del conflitto ma soprattutto, magari anche “forzando” un po’ la realtà, fargli capire l’impossibilità che una cosa del genere possa capitare al proprio genitore. Inoltre, vi sembrerà un controsenso, è fondamentale lasciare giocare i bambini “alla guerra”: il gioco di finzione assume un valore terapeutico; i protagonisti del gioco, che nella vita reale sono spettatori quasi impotenti, nel gioco svolgono un ruolo attivo: giocare alla violenza è un modo per neutralizzarla, per tenere a freno l' angoscia; più un bambino ha bisogno di scaricare la tensione, più trova sollievo nel gioco così che anche le armi giocattolo non debbono preoccuparci eccessivamente, difatti non costituiscono che un supporto.

La parte più difficile si verifica con bambini/ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni. E’ l’età in cui i giri di parole e le reticenze sono più inutili. Questo vuol dire non minimizzare ma neppure enfatizzare la situazione. Da parte dei genitori serve una disponibilità all’elaborazione critica del perché possano accadere queste cose, dando risposte il più possibile chiare. Insomma bisogna parlare con loro, cercando anche di rispettare il loro punto di vista. L' adolescenza è un'età critica, in cui l'individuo cerca di stabilire un nuovo modo di relazionarsi col mondo adulto, chiedendo a questo essenzialmente certezze. Lo scoppio di una guerra produce, invece, incertezze, instabilità e poiché sono gli adulti a "volere" la guerra, c' è il rischio che si crei una "crisi di fiducia".
Eventi del genere aumentano sempre isolamento, disagio e senso di precarietà tipici di questa età. Una guerra, così come un atto terroristico, appare, ad un ragazzino, un evento dal quale non ci si può difendere, con le aggravanti che è generato da altri uomini e quindi da "nemici" che possono rappresentare una minaccia continua e inaspettata e che è proprio in quel contesto che si trova il proprio genitore. Situazioni di questo tipo possono generare una vera perdita di sicurezza con il verificarsi di manifestazioni di tipo regressivo: paura del buio, paura di dormire soli nel letto o addirittura anche episodi di enuresi. Eventi scioccanti possono, in soggetti particolarmente sensibili, anche produrre somatizzazioni con vomito, angoscia e crisi di panico.

Qualche dato per capire l'impatto degli scenari di guerra sugli adolescenti:
Nel '99, nell'ambito dell'annuale indagine sui preadolescenti svolta dalla Società Italiana di Pediatria, alla domanda "Qual è l'evento che ricordi maggiormente tra quelli accaduti nel corso dell'anno" il 45,6% dei giovani rispose "la guerra del Kosovo". Alla stessa domanda nell'indagine del 2002, il 33,5% ha risposto "l'attentato alle torri gemelle", nonostante l'evento fosse accaduto un anno prima. In entrambi i casi l'evento che ricordavano al secondo posto (alluvioni e terremoto nel 1999; omicidio della piccola Desiree nel 2001) era distanziato di trenta punti percentuali.


Nessun commento:

Posta un commento