lunedì 11 giugno 2012

Gruppo di Lettura - 'A Mano Armata' (Giovanni Bianconi) - di Luana Fiorenza


      “Un giovane poteva ancora lottare contro tutti per arrivare ad una propria definizione. E le storie dei ragazzi neri costituirono una tragedia particolare nella tragedia generale” (Oreste Del Buono)

      Parlare di terrorismo oggi ci mette di fronte all’analisi di una realtà che sembra tanto lontana da noi, ma che “solo” trent’anni fa era vissuta ogni singolo giorno da ciascuno di noi.
      Che si fosse o no interessati e coinvolti in politica, che si avesse la tessera di un partito, l’iscrizione ad una sede, un’idea politica definita o no, che si fosse “fascista o comunista”, in ogni caso la parola terrorismo faceva parte della vita di ogni cittadino italiano. Proprio da questo presupposto è partito Giovanni Bianconi, giornalista romano, quando ha deciso di pubblicare un volume che mostrasse il volto nuovo di uno dei massimi esponenti degli anni di piombo in Italia, Valerio Fioravanti. Bambino prodigio, promessa del cinema, attore di fiction e caroselli, studente intelligente, figlio educato, fratello protettivo. Come sia poi diventato il più violento degli estremisti di destra è una domanda a cui, forse, nemmeno lui riesce a rispondere. Bianconi scrive: “Valerio ripensa agli anni vissuti a mano armata, al male fatto agli altri ma anche a se stesso: ha portato la sua donna, suo fratello e i suoi migliori amici a farsi sparare addosso. Per che cosa? La sua nuova esistenza è fatta soprattutto di riflessioni su qualcosa che è difficile capire: aveva deciso di ribellarsi al mondo diviso in buoni e cattivi e poi si è ritrovato lui a decidere chi era buono e chi era cattivo, trasformandosi prima in giudice e poi in boia” (pag. 332).
      Valerio Fioravanti si avvicina alla politica “per osmosi”, segue e protegge il fratello più piccolo, Cristiano, per poi rimanere affascinato e tormentato dal suo stesso ideale. Sceglie i neri perché sono in minoranza, perché nelle scuole gli studenti vengono isolati, nel quartiere picchiati, in parlamento tacciati di apologia del Fascismo. Sceglie la lotta a mano armata perché “è giusta”, per ribellione, per un senso di giustizia del tutto deviatamente personale. Non è pazzo, come molti giudici tenteranno di descriverlo, è, anzi, una persona carismatica con le doti di leader, di guida, lucido al limite del cinismo, chiaro e consapevole di una scelta che a soli vent’anni lo condurrà a vivere da latitante.
      L’aspetto più interessante del libro di Bianconi è di certo la “luce umana” che getta su un personaggio oscuro: il disagio dell’essere riconosciuto in strada da bambino, del non poter vivere una vita “normale”, le aspirazioni per la professione legale sviluppata durante gli anni trascorsi a studiare in America, la descrizione dell’amore per il fratello, il tormento ed il dolore per il suo tradimento dopo l’arresto (“persino mia madre – afferma Cristiano – avrebbe preferito avere due figli ergastolani che uno infame”), l’indifferenza per la vita umana, per il valore che la vita di un poliziotto poteva avere, l’indifferenza lucidissima nell’ammazzare un giudice “solo” perché titolare delle indagini sull’eversione nera. E poi l’amore imperituro per la sua donna, che lo seguirà nel tunnel della latitanza, che sarà condannata all’ergastolo come lui, che non lo tradirà mai, che lo sposerà in carcere, che gli darà una figlia.Il peggior reato per cui Valerio Fioravanti è ricordato è la Strage di Bologna. Il 2 agosto 1980, mentre centinaia di famiglie attendono il treno nella sala di attesa di seconda classe della Stazione Centrale, due esplosioni falciano 85 vite e ne lasciano sull’asfalto ferite altre 200. È una bomba che ferisce l’Italia in un modo indelebile: quella presente alla stazione di Bologna è un’Italia umile, che va al mare col treno, con la valigia di cartone, con il cibo avvolto nelle tovaglie, coi giocattoli dei bambini nello zaino, che non ha l’auto, che si sacrifica un anno intero per qualche giorno di ferie. Questa è l’Italia che Valerio Fioravanti spazza via con una bomba? Mai, nei decenni seguenti, nei numerosi processi che condanneranno lui e la sua compagna come esecutori materiali, mai ammetterà di essere stato lì. Ha confessato ed è stato condannato per 95 omicidi, Valerio Fioravanti, non si è mai pentito, non ha mai negato nulla, si è sempre assunto tutte le sue responsabilità, ma mai quella di aver commesso un reato così meschino. Ma chi decide se un reato è meschino o no, chi decide se far morire una persona sia meglio o peggio che ammazzarne 85?
      Bianconi non pretende di rivelare la verità assoluta: ci aiuta semplicemente a vedere gli eventi della nostra storia recente con uno sguardo scevro da pregiudizi, senza giustificazioni ma con la consapevolezza che anche dietro quelle pistole, dietro le porte del carcere che saranno per 26 anni la casa di Valerio Fioravanti, ci sono uomini “normali” che hanno fatto una scelta differente, la scelta di vivere “a mano armata”.

      (Giovanni Bianconi – A mano armata. Vita violenta di Giusva Fioravanti – ed.Baldini Castoldi Dalai)