giovedì 20 settembre 2012

Aspettando la Missione - di Maria Chiara Santoro


Ricordo, da bambina, i racconti di mia madre sulla seconda guerra mondiale . Il suono stridulo e sinistro delle sirene che preannunciava un bombardamento imminente, le fughe nei sotterranei del palazzo dove abitava, la paura, il dolore, la miseria, la fame, il senso di impotenza di lei, bambina, di fronte a tutto questo. I racconti di mia madre erano nitidi, narrati col cuore di chi ha vissuto, insieme a tanti altri, la dolorosa esperienza della guerra. Erano storie vere, come quella della bomba posizionata dai tedeschi proprio sotto la loro casa, la fuga precipitosa dei miei nonni un attimo prima dell’esplosione, la ricerca, tra le macerie, di qualcosa di proprio da recuperare, come la macchina da cucire, con la quale mia nonna confezionava i vestiti per mia madre e le altre cinque sorelle. Tanti episodi che stimolavano la mia fantasia e aprivano una finestra su di un passato a me fortunatamente sconosciuto. E poi la festa, la gioia incontenibile seguita all’arrivo delle truppe alleate, la certezza di un incubo terminato con l’arrivo degli americani, il gusto della loro cioccolata e il calore dei loro sorrisi. Soldati della Liberazione, forieri di pace, acclamati e festeggiati da mia madre bambina.
Sono queste immagini e pensieri che attraversano la mia mente quando penso ai teatri dove operano le nostre Forze Armate. Quando penso a tutti i bambini che, come mia madre, hanno vissuto gli orrori di lunghe tirannie ed il dolore di inevitabili conflitti. E la mia sofferenza nell’attesa della partenza dell’uomo che amo, le mie mille paure sui rischi che andrà ad affrontare, le difficoltà che dovrò ancora superare da sola, assumono una dimensione diversa, non meno dolorosa, ma supportata dalla certezza di essere “parte attiva” in un lento processo di normalizzazione di paesi, verso pace e democrazia.
Sì, perché è questo che siamo, noi famiglie di militari: parte ATTIVA di un’istituzione che volge i suoi sforzi al raggiungimento di obiettivi nobili ed umanamente elevati. Siamo chiamate ad essere “costruttori di pace”, a lenire le ferite di popoli prostrati da lunghe sofferenze, noi tutti, “missionari” della ricostruzione, i nostri uomini e donne sul posto, le nostre famiglie da casa, legati dall’indissolubile filo dell’amore e del coraggio. Ma per assolvere alla nostra “missione” abbiamo bisogno di “un corpo logistico”, come ogni organizzazione che si rispetti. E’ doveroso e dovuto un supporto alle nostre famiglie, un riconoscimento concreto alla nostra viva partecipazione al servizio del Paese. Famiglie e militari sono due facce della stessa gloriosa medaglia, una realtà che non può e non deve essere ignorata.
Noi de 'L'altra metà della Divisa' stiamo lavorando perché le nostre famiglie possano compiere il proprio dovere più serenamente, perché possano sentirsi in qualche modo sostenute, perché i nostri uomini e donne possano assolvere ai loro compiti nella certezza di poter contare su di una struttura che si prende a cuore i loro cari. Ma c’è ancora tanto da lavorare: abbiamo bisogno di attenzione reale e di aiuto concreto da parte delle istituzioni. Servire lo Stato non è uno scherzo, per questo è giusto essere presi sul serio.
INSIEME POSSIAMO FARE LA DIFFERENZA.



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