venerdì 10 febbraio 2012

Poveri Ermellini: come ti fraintendo la sentenza. - Avv. Silvia Aprile

La settimana scorsa, infatti, i Telegiornali di tutte le reti hanno dato questa tremenda notizia: “la Cassazione ha deciso che nei casi di Stupro di gruppo, non vi è l'obbligo del carcere…”  Si è scatenato il putiferio, le donne di tutti gli schieramenti politici e delle più svariate associazioni si sono infiammate in una sequela di improperi contro i Giudici della Corte di Cassazione, tacciati di maschilismo, machismo…etc… Qualcuno ha ricordato la famosa e mai dimenticata “sentenza dei jeans”…la ricordate? In quell’occasione la Cassazione aveva ritenuto non provato lo stupro perché la ragazza indossava i jeans che, a detta degli Ermellini, non erano sfilabili senza il consenso della presunta vittima.
I giudici della Cassazione, dato il precedente, non sono nuovi a questo genere di rimproveri.
Ma è proprio vero che i non più giovanissimi magistrati di Cassazione sono maschilisti? E’ vero che il carcere non è più obbligatorio per chi commette stupro di gruppo?
La risposta è no!


Inizio dal principio così da far comprendere meglio:
L’art. 609 octies del Codice Penale stabilisce che “Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione  da sei a dodici anni”. Infatti, la sentenza della Cassazione non riguarda la pena da comminare ad un condannato per il reato di violenza sessuale di gruppo, ma alla misura cautelare da applicare in pendenza del giudizio che vede imputato taluno per tale reato.
Cos’è una misura cautelare? E’ una misura restrittiva della libertà personale che viene applicata durante le indagini e/o il processo ed è disposta dal giudice per rispondere ad esigenze quali il rischio d’inquinamento delle prove, rischio di fuga, rischio di reiterazione del reato.
Ovviamente poiché nel nostro ordinamento penale vi è la presunzione d’innocenza fino alla condanna definitiva, il giudice deve valutare quale misura cautelare è più idonea caso per caso.
Ve ne sono diverse: il divieto di espatrio, l’obbligo della presentazione ad orari fissi davanti alla polizia giudiziaria, l’allontanamento dalla casa familiare, arresti domiciliari ed in casi più gravi ove il rischio e la pericolosità sociale del soggetto sono alte, la custodia cautelare in carcere.
Ebbene, una legge del 2009 aveva stabilito che per i reati di violenza sessuale, come per i reati di mafia il giudice, nel decidere le misure cautelari non dovesse valutare, come per tutti gli altri reati, ma dovesse obbligatoriamente applicare la misura più restrittiva del carcere, salvo che ritenesse non sussistere una tale esigenza cautelare. Quindi chiunque era gravemente indiziato di aver commesso un reato sessuale doveva andare necessariamente in carcere in attesa del processo o durante lo stesso.
Nel 2010 la Corte Costituzionale ha ritenuto che non si possano equiparare i reati per mafia a quelli sessuali, in quanto i primi riguardano le associazioni criminose e, pertanto, le esigenze cautelari ed i rischi a loro connessi sono alquanto più importanti.
Inoltre, la Corte Costituzionale ha ritenuto che l’obbligatorietà della misura del carcere ai reati sessuali sia in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, in quanto per tutti gli altri reati, benché gravi (rapina aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione), il giudice è libero di valutare l’opportunità degli arresti domiciliari.
La recente e tanto dibattuta sentenza della Cassazione non ha fatto altro che recepire la pronuncia del 2010 della Corte Costituzionale nell’affermare che anche nel reato di violenza sessuale di gruppo il giudice sia libero di valutare se, in costanza delle indagini e/o del processo, l’indagato e/o imputato debba avere gli arresti domiciliari o la custodia cautelare in carcere.
Tranquille, quindi, in Italia chi commette l’aberrante reato di violenza sessuale sia di gruppo che singolarmente continuerà a farsi i suoi anni ed anni in cella.
Ovviamente pare che sia troppo complicato da parte di alcuni giornalisti, soprattutto televisivi, spiegare all’opinione di pubblica come stanno realmente le cose, diversamente non ci sarebbero più l’alternarsi di scoop e polemiche.

Avv. Silvia Aprile


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