venerdì 17 febbraio 2012

Psicoterapia dell'emergenza - di Rachele M. Magro

Durante i grandi eventi, di portata storica, come la Prima e Seconda Guerra Mondiale fino alla Guerra del Vietnam, i medici militari hanno dovuto diagnosticare il disagio psicologico conseguente al trauma trovandosi di fronte al dilemma di definire un soggetto abile al combattimento o meno. Molti di questi soldati erano etichettati come “vigliacchi”, “invalidi morali”, e spesso mandati a morire in quanto simulatori.. Attualmente si sono verificati e sono presenti scenari simili, dalla prima e seconda guerra del Golfo, in Bosnia, in Libano, in Somalia e diversi eventi catastrofici come l’attentato alle Twin Towers, lo Tsu-nami.  I conflitti e le guerre sono diventate il tema principale anche dei nostri giorni: dall’ex Jugoslavia  al Medio Oriente. Si può parlare di Disturbo post traumatico da stress anche per tutte le persone che hanno vissuto la traumatizzazione non in maniera diretta in un processo dilagante che colpisce i soccorritori. I disagi del traumatizzato penetrano e si diffondono nella psiche e nel corpo dell’operatore. Potrebbe essere facile prevedere che alcuni individui subiranno l’esposizione a tragedie e stressors traumatici: militari, poliziotti, vigili del fuoco, operatori del soccorso, ecc., e, in egual modo, tutelare con la prevenzione primaria attraverso la formazione, la consulenza, l’addestramento, l’autosostegno. Per coloro i quali non è possibile prevenire, si può evitare che diventi un disturbo cronico. La conoscenza e la consapevolezza possono illuminare ed aiutare ognuno di noi ad occuparci di noi stessi. Poiché la psichiatria militare è stata la prima a dare un accento a questa problematica, nel mondo militare ritorniamo per approfondire le nostre conoscenza, con una esperienza all’interno di un Reggimento operativo. La psicologia di comunità ci insegna che gli interventi devono affondare nella cultura che raccoglie le ideologie, le credenze dei singoli in un senso di comunità e attraverso di essa apportare il cambiamento. L’obiettivo della ricerca-intervento attuata era quella di favorire il cambiamento attraverso l’empowerment, nella forma di un aumentato accesso delle persone alle risorse informative e di organizzazione sociale, l’uno attraverso la formazione e la sensibilizzazione e l’altro attraverso la costituzione di un gruppo di sostegno. La ricerca-intervento si è strutturata all’interno di un Reggimento Operativo delle Forze Armate per raccogliere conoscenze, stimolare e verificare l’attuazione di programmi di intervento all’interno dell’organizzazione. Si caratterizza pertanto come ricerca conoscitiva, che consentendo un’analisi delle condizioni di vita della comunità, può funzionare come contenitore di dati, a supporto di un più ampio processo di ricerca intervento. D’altra parte, si è cercato di attivare, avvalendosi dei riferimenti alla ricerca-intervento partecipante, non solo la divulgazione di conoscenze scientifiche, ma anche la valorizzazione delle esperienze e della cultura dell’organizzazione. Tale ricerca viene arricchita dando la parola agli uomini del Reggimento e alle loro famiglie attraverso l’analisi delle loro esigenze e dei loro bisogni per poter costruire in tale modo un intervento efficace sulla base di richieste ed esigenze specifiche; indagando, in particolare, l’incidenza del bisogno di supporto, non solo materiale, ma anche strettamente psicologico ed emotivo. Sono stati pertanto costruiti due questionari, simile nei contenuti: uno è stato distribuito agli uomini e uno alle famiglie, identico eccetto che per un solo item.  La prima fase, prevede un lavoro di rilevazione di informazione rispetto all’individuazione di alcuni fattori di personalità, che sono principalmente le credenze e assunzioni personali rispetto alla relazione con il Reggimento  e la- capacità di chiedere aiuto e l’ampiezza della rete di supporto sociale. Si teorizza che la presenza di un forte sostegno sociale e psicologico per il militare in missione all’estero e per la famiglia agisca da fattore di protezione per la prevenzione del disturbo post-traumatico. La seconda fase con la formazione d’aula si pone su un piano di prevenzione primaria attraverso il lavoro di gruppo e il rafforzamento di competenze di coping e di self.efficacy. Nella fase specifica dell’intervento, l’approccio attraverso la formazione d’aula è stato principalmente centrato sul modello di psicoterapia umanistica integrata, avvalendosi nella fase della formazione d’aula dell’approccio rogersiano, per favorire un processo di insight: accettazione incondizionata,  genuinità ed empatia; teoria della Gestalt, nella suddivisione dello spazio formativo seguendo le fasi del ciclo di contatto gestaltico sia nel processo formativo completo che in ogni singolo incontro; psicologia del lavoro  per gli sturmenti formativi; teoria della motivazione di Ma slow e psicologia di comunità e analisi transazionale nell’approccio alla ricerca-intervento.Al tempo della ricerca, il Reggimento era impiegato in Iraq come forza di intervento internazionale e gli uomini, tra specialisti e soldati impiegati in diverse funzioni, con un turn-over, affrontavano periodi all’estero di circa 6 mesi. Una prima ipotesi era che la prevenzione e formazione, atta a informare e a fornire strumenti per  salvaguardare la salute psicofisica influenzava l’incidenza di eventi traumatici nella vita dei soldati impiegati in missione all’estero. L’impegno era di costituire un  intervento di prevenzione primaria,  informando i comandanti di gruppo sui fattori che influenzano il processo di strutturazione di una reazione patologica a eventi stressanti e traumatici. Nella seconda fase, quella della prevenzione secondaria, gli uomini formati sapevano come gestire reazioni emotive e comportamentali di fronte ad eventi estremi, che potevano rompere l’equilibrio psico-fisico. La seconda ipotesi, si affacciava sul territorio, si occupa della organizzazione del sostegno sociale e familiare, come efficace cuscinetto capace di affrontare eventi traumatici che colpissero il Reggimento.Si riteneva pertanto che 1) le famiglie provenienti da altre Regioni, potevano presentare maggiori difficoltà nella gestione della vita quotidiana e possedere un minore supporto sociale sul territorio. Era  personale molto giovane nel comparto truppa, con breve inserimento nel territorio. 2)  le modalità di comunicazione delle famiglie con il militare all’estero, e con il Reggimento incidono sul livello di stress e sulle difficoltà emotive delle famiglie e di conseguenza sul militare in missione3) la costruzione di validi rapporti con il Reggimento  e l'utilizzo di quest'ultimo come punto di contatto e di socializzazione incide sul reale utilizzo del supporto offerto, sull’efficace circolarità delle informazioni, e spinge alla costruzione di rapporti informali esterni tra piccoli gruppi di colleghi. Un ulteriore obiettivo era quello di indagare sulla diffusione delle informazioni rispetto alla presenza di un Gruppo Supporto Famiglia all’interno del Reggimento.
Tutto il Reggimento è stato coinvolto nell’esperienza circa 450 uomini
Sono stati restituiti da parte dei militari solo 177 questionari, mentre i familiari che hanno risposto sono stati 149.  In totale hanno risposto 182 nuclei familiari, circa i 2/5 del campione.  La parte del personale, i volontari, al quale si intendeva rivolgere  in particolare la ricerca, ha scelto di non esprimere la propria opinione o di rendere completamente anonimo il proprio intervento. La maggioranza delle opinioni espresse raccolgono il punto di vista di sottoufficiali e ufficiali, che nel Reggimento e nel territorio cittadino, vivono da anni e sono riusciti, in parte, a costruire una propria rete di sostegno data dalla esperienza acquisita negli anni. Si evidenzia un buon contrasto tra le opinioni del personale che cerca di presentare un’immagine positiva delle risorse familiari, e quelle delle famiglie che dichiarano di non possedere un valido supporto sociale dal quale attingere risorse e strumenti, che troverà degli ostacoli nella gestione del menage casalingo, soprattutto durante il periodo in cui il coniuge sarà assente.  Si evidenzia un tentativo di allontanamento della propria famiglia dal Reggimento da parte degli uomini stessi. Gli stessi uomini , infatti, costituiscono il Reggimento, come i nodi di una stessa rete. I flusso di informazioni viene pertanto veicolato da loro stessi, verso le famiglie. Il personale, infatti, ritiene che la costruzione dei rapporti tra la loro famiglia e il Reggimento non sia utile alla risoluzione dei problemi e questo spiega l’assoluta assenza dei rapporti effettivamente istituiti. Questa difficoltà ad aprirsi all’esterno si evidenzia nella scarsa presenza di legami significativi con altre famiglie e nei rari incontri che siano occasione di socializzazione durante l’anno. Le figure privilegiate sono i colleghi, escludendo pertanto le risorse presenti come personale preposto a tale funzione e il Gruppo Supporto Famiglia. Si evidenzia come il personale abbia cercato di sostenere la sua necessità di estraneità rispetto al Reggimento e di mantenere separate le due realtà lavorative e familiari, sostenendo l’ipotesi di una capacità di autonomia gestionale efficace. In particolare emerge un forte senso di malessere del personale nel proprio contesto lavorativo partendo dal semplice desiderio di chiarezza rispetto alle informazioni che appaiono poco incisive e contrastanti. Considerando la particolarità dell’Istituzione, che ha un’organizzazione di tipo gerarchico e che si caratterizza, al suo interno, per la costituzione di particolari procedure e regole di comportamento è evidente la sofferenza, da parte del personale, relative a problematiche interne all’organizzazione. Si evince una sorta di delusione rispetto agli organi costituenti e sfiducia nello stesso. Il lavoro del personale è considerato poco riconosciuto e tutelato, le possibilità di contatto tra le diverse categorie sono considerate scarse e inadeguate. Tale ricerca ha mostrato diverse aree su cui è importante lavorare per il benessere e la serenità del personale in generale, non solo per quello impiegato in missioni all’estero. Le aree che richiedono particolare attenzione sono sicuramente quella relativa al benessere lavorativo del personale su cui incide la costruzione di rapporti più adeguati principalmente all’interno del Reggimento. Emerge l’importanza di dare ascolto alla parte più debole, per esperienza di vita e lavorativa del contesto organizzativo, rappresentato dal comparto truppa, ma di provare a lavorare, più in generale, sul cambiamento della cultura e del pensiero del Reggimento stesso. I primi incontri di formazione hanno richiesto dello spazio per conoscere gli uomini, e le loro potenzialità, la loro vulnerabilità agli eventi e la comprensione delle carenze di integrazione all’interno della competenza integrata.  Si partiva dalle informazioni attinte da recenti ricerche in ambito militare (M. Costa, 2003), in cui emergeva  in particolare, una buona capacità del soldato nelle aree del sapere e del saper fare e nella capacità di raggiungere un obiettivo specifico. Qualche elemento di criticità era ancora evidente nel saper essere, nella capacità di auto-motivazione e autogratificazione e di lavorare in gruppo. La presenza di tali aspetti di criticità è stata indagata nella formazione in aula. Per il periodo di circa un anno, gli uomini che subivano il turn-over delle missioni, effettuavano un periodo di incontri di formazione, in cui venivano affrontati gli argomenti considerati utili a costruire una base di conoscenza necessaria alla prevenzione. L’obiettivo prefissato in questa parte del percorso formativo, era quello di consapevolizzare i processi comunicativi portando ogni soggetto a diventare facilitatore di sé stesso nei contesti stressogeni. Solo quando il soggetto riesce a percepirsi e sentirsi consapevole delle proprie dinamiche può, a sua volta, diventare facilitatore dell’altro.
 
(Articolo di Rachele M. Magro, moglie di un Militare, oltre che psicoterapeuta formata e specializzata nella prevenzione del disagio psicologico nei Militari in Missione. Autrice del libro "Cuore di Soldato" - Edizioni Psiconline)

[l'articolo completo è stato pubblicato sulla Rivista semestrale "Integrazione nelle Psicoterapie" Edizioni scientifiche ASPIC I/2011]

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